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La rinascita di Händel in Gran Bretagna nel secondo dopoguerra

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Ancor prima dell’affermarsi della prassi esecutiva storicamente informata, gli anni ’50 e ’60 del Novecento vedono in Gran Bretagna l’innescarsi di un processo di riscoperta del repertorio di opere e oratori di Georg Friedrich Händel. Non si tratta sicuramente di un primato in senso stretto, visto che il primo vero revival delle opere di Händel ha luogo in Germania a Göttingen nel 1920 con un’esecuzione di Rodelinda, seguita poi da iniziative isolate negli Stati Uniti a cavallo tra gli anni ’20 e ’30 e altre rappresentazioni in Germania a Göttingen e Halle. Tuttavia, quello che accadde in Inghilterra nel secondo dopoguerra è forse unico perché per la prima volta si assiste alla convergenza di interessi discografici, imprenditoriali e artistici in aggiunta alla disponibilità di cantanti di rango in grado di affrontare la musica barocca.

Ma come mai questo lungo oblio calato per oltre due secoli sul repertorio d’opera di un compositore inglese d’adozione dal 1710, nella terra che lo vede comporre oltre 30 opere tra il 1711 (Rinaldo) e il 1741 (Deidamia)? La perdita d’interesse del pubblico e soprattutto della nobiltà inglese verso l’opera italiana, spingono Händel a dedicarsi alla musica corale e dopo il grande successo del Messiah (1741), il compositore sassone (ormai inglesizzato come Handel) compone solo oratori inglesi (Saul, Samson, Semele, Hercules, Theodora e Jephta) allo scopo di intrattenere l’aristocrazia ed elevare la middle class. Idolatrato dalle persone che disprezzavano il teatro, Händel in qualità di compositore di oratori, diviene una vera istituzione britannica tanto da essere sepolto a Westminster Abbey nel 1759. Un uomo di teatro era diventato nella percezione comune un compositore legato a valori morali e religiosi, il che spiega come l’unica composizione veramente sopravvissuta all’oblio dopo la sua morte sia l’oratorio Messiah, grazie al suo libretto biblico e a un potere fortemente retorico. Il carattere religioso, morale e nazionalistico si rafforza poi in epoca vittoriana dove si diffondono prassi distorte di esecuzioni di massa con gruppi corali di centinaia di amatori e scarsa qualità esecutiva. Solo nel 1954 queste distorsioni hanno termine con una prima esecuzione autentica con il London Philarmonic Chorus sotto la direzione di Sir Adrian Boult. Nella prassi esecutiva dopo la morte del compositore, rimane invece poco o niente del repertorio operistico, a parte alcuni estratti tra cui l’aria “Ombra mai fu” dal Serse.

La riscoperta vera di Händel come compositore operistico nel Regno Unito ha inizio con la fondazione della Handel Opera Society da parte del direttore inglese Charles Frederick Farncombe nel 1955. Il compito della fondazione è quello di riportare sulla scena opere händeliane mai più rappresentate nel Regno Unito dalla loro prima esecuzione nel Settecento. Ma è soprattutto la casa discografica Decca a guidare il revival händeliano grazie alle etichette Argo e L’Oiseau-Lyre. Dopo una registrazione di Acis and Galatea con l’australiana Joan Sutherland (1926-2012), nel 1959 esce “Music of Händel” con arie di Alcina interpretate dalla stessa Sutherland, oltre a estratti di oratori cantati dal tenore australiano William Herbert e dal basso Hervey Allan. Nel bicentenario della morte del caro sassone (1959) viene poi rappresentata dalla Handel Opera Society, Rodelinda con Joan Sutherland e Janet Baker nel ruolo di Eduige. Nello stesso anno Sutherland trionfa in Lucia di Lammermoor al Covent Garden con la regia di Zeffirelli, il quale l’anno successivo firma l’Alcina alla Fenice di Venezia, che consacra Sutherland nel firmamento dei giganti, oltre a regalarle il soprannome “la Stupenda” coniato da un giornalista inglese presente in sala dopo aver udito le reazioni del pubblico veneziano. Nel 1959 Sutherland registra per la prima volta Alcina con il tenore Fritz Wunderlich sotto la direzione di Ferdinand Leitner e con l’uso di strumenti originali, mentre nel 1963 segue una registrazione per Decca (questa volta meno autentica) diretta dal marito Richard Boynyge, altro esponente del revival händeliano. L’Alcina di Sutherland rimane ancora oggi un modello difficile da uguagliare per intensità espressiva, eleganza espositiva e tecnica e peso vocale. Oltre a Rodelinda e Alcina, Sutherland fu una Cleopatra egregia con arie cantate sempre a voce piena su tutta la gamma, trilli e staccati precisissimi e coloratura sprezzante. Come dimenticare poi il virtuosismo funambolico di “Let the bright seraphim” dall’oratorio Samson: questo fu cantato come bis al termine dell’Alcina veneziana (con il testo in italiano di “Ma quando tornerai” da Alcina) mandando il pubblico italiano in visibilio. Negli anni ’60, anche il mezzosoprano inglese Janet Baker fu protagonista di alcuni titoli händeliani, quali Ariodante (1964), registrato più tardi sotto la direzione di Raymond Leppard e Orlando (1966). Soprattutto in Ariodante, Baker brilla per musicalità e capacità di portare il testo in vita con chiarezza e gusto.

Se Joan Sutherland e Janet Baker sono ampiamente note al grande pubblico, vale la pena citare due nomi che sono stati protagonisti della Händel renaissance inglese. Il primo è quello dell’irlandese Bernadette Greevy (1940-2008). Contralto puro dal timbro ricco, caldo e scuro sulla tradizione di Kathleen Ferrier e Helen Watts, Greevy si è affermata come cantante d’opera, oratori e liederista. Nel 1966, l’etichetta Argo pubblica un recital di arie händeliane con la direzione di Raymond Leppard al clavicembalo. Questa registrazione, ormai una rarità da collezionisti, presenta una varietà di titoli (Ottone, Partenope, Alcina, Rodelinda, Rinaldo, Atalanta), dove Greevy esibisce un fraseggio sempre puntuale e una tecnica solida, oltre a una bella fluidità. Segnaliamo l’aria da Ottone “Vieni, o figlio”, particolarmente toccante con un bel velluto vibrante che sottolinea la pietà e l’intento consolatorio di una madre verso il figlio. Il secondo nome che vogliamo ricordare è quello del basso Peter Forbes Robinson (1926-1987). Nel 1966 Argo pubblica un’antologia di arie d’opera, odi, masque e arie d’oratorio. La sua era una voce potente che ben si prestava alla musica händeliana per l’uso di accenti e consapevolezza stilistica, abbastanza avanti per i tempi.

A ricordo di quel periodo così rilevante per la riscoperta di repertorio dimenticato, Decca ha dedicato un cd (Handel-Arias) per la catena Eloquence. Al di là delle considerazioni sulla filologia e autenticità esecutiva, le registrazioni e performance di quegli anni hanno avuto sicuramente il merito di riportare Händel alla ribalta e cambiare la percezione del compositore, almeno nel Regno Unito, da paladino di valori morali a uomo di teatro, un vero e proprio maestro nel rappresentare l’umanità con le sue passioni, sofferenze e debolezze. Ed è questo il motivo per cui la musica di Händel ci parla ancora oggi, dritti dritti al cuore.

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