Il 31 luglio compirà cent’anni una vera e propria icona italiana, Franca Valeri. Un secolo di ironia, genio, comicità, intelligenza arguta e moderna osservazione della realtà. Attrice di teatro e cinema, autrice, conduttrice radio, personaggio televisivo e anche regista, Valeri è stata una delle artiste più eclettiche e complete dal secondo dopoguerra a oggi. Riassumere la sua opera sconfinata in un breve ritratto è un compito arduo e in questa sede ci limiteremo a ripercorrere per linee generali alcune delle sue tappe principali di carriera, piuttosto che analizzare in modo esaustivo tutto il suo lavoro, sul quale molto è già stato scritto e pubblicato. Quello che invece vorremmo sottolineare è la passione di Valeri per l’opera e la musica in generale, un interesse antico e coltivato nel corso della sua lunga vita, ma che forse rimane più noto a melomani e addetti ai lavori piuttosto che al grande pubblico, decisamente più vicino ai suoi sketch radiofonici e televisivi o alle sue interpretazioni cinematografiche.
Franca Valeri, nome d’arte per Franca Maria Norsa, nasce a Milano nel 1920 da una buona famiglia della borghesia milanese. Il padre, Luigi Norsa, è un ingegnere di religione ebraica mentre la madre, Cecilia Valagotti, è di estrazione cattolica. Studia al Liceo Parini di Milano e frequenta fin da bambina spettacoli operistici e di prosa. In compagnia di amici e parenti si cimenta nella recitazione di stampo caricaturale e nel canto di operette di Lehár. Proprio in questi anni sviluppa un talento naturale per la caratterizzazione, sicuramente frutto di un’intelligenza fuori dal comune ma anche di una capacità d’osservazione sempre pronta a cogliere e dissacrare debolezze, ipocrisie, mode e costumi borghesi (si pensi al suo personaggio “Cesira la manicure” – ascolto). Franca vive in via della Spiga a Milano e ha una vita felice fin quando arrivano le leggi razziali e il successivo armistizio del ’43. La famiglia è costretta a separarsi: il padre e il fratello riescono a trovare rifugio in Svizzera, mentre Franca rimane con la madre dapprima a Milano e poi si rifugia da sfollata nella campagna lombarda. La ragazza riesce a sopravvivere per miracolo alle deportazioni grazie a una carta d’identità falsificata procuratale da un addetto all’Anagrafe, che la fa diventare figlia di Cecilia Pernetta di Pavia. Sono anni di clandestinità traumatici trascorsi tra la Brianza e la provincia di Lecco, ma che spingono la ragazza a letture infinite tenendola in qualche modo al riparo dalle brutture della guerra. Franca divora i classici della letteratura e del teatro francese, di cui è sempre stata affascinata. Al termine della guerra il lieto fine: la famiglia viene riunita e per Franca è finalmente il momento di godersi la libertà in quell’euforia del secondo dopo guerra dove tutto sembra possibile.
La carriera teatrale non sembra così scontata fin da subito, dal momento che Valeri viene bocciata all’ammissione nell’Accademia nazionale d’arte drammatica a Roma. Il padre ha in mente per lei un altro futuro ma Franca persevera, realizzando che il teatro è l’unica strada possibile. Dato il veto paterno all’uso del cognome di famiglia, Franca decide di chiamarsi Valeri, come omaggio a Paul Valéry, subito dopo un incontro con l’amica Silvana Mauri, che quel giorno teneva in borsetta proprio un libro del poeta francese. Esordisce con la compagnia dei Gobbi nel 1949 portando in tournée a Parigi insieme a Vittorio Caprioli (suo futuro marito) e Alberto Bonucci spettacoli basati su improvvisazione e satira, senza alcun supporto scenico o costume teatrale, suscitando la reazione entusiasta del pubblico parigino.
Se i primi passi artistici sono teatrali, sarà la radio a regalarle la fama dalla notte al giorno. A cavallo tra il ’49 e il ’50 esplode il fenomeno Valeri grazie al famosissimo sketch della “Signorina snob”, poi ripreso a teatro e in televisione e diventato anche il soprannome della Valeri, in realtà non proprio esaustivo data la poliedricità del personaggio (ascolto). Come fa notare Patrizia Zappa Mulas: “Che altro è la signorina snob se non il succo dell’arguzia ebraica, colato nello stampo di un’intellettuale aristocratica francese comicamente degradata al provincialismo italico. Sì quel personaggio è una milanese brillante che occhieggia Parigi. E dato che Franca intuisce alcuni vizi nazionali, alla sua snob nostrana invece della penna fa usare il telefono”.
Gli anni ’50 e ’60 segnano le tappe principali della carriera cinematografica di Franca Valeri. Dopo il debutto per Fellini e Lattuada in Luci del Varietà a fianco di De Filippo si susseguono una serie di film dove Valeri interpreta ruoli di supporto ma anche ruoli più di spessore. Le due figure principali per la Valeri sono state sicuramente Alberto Sordi e Vittorio de Sica. A fianco del primo interpreterà Piccola Posta di Steno e Il vedovo di Dino Risi, dove l’appellativo “Cretinetti” usato per il marito è rimasto negli annali del cinema. Franca diventa riconoscibilissima anche grazie a un look rimasto poi intatto nel corso delle decadi: taglio corto di capelli, un giro di perle, un filo di trucco e un eleganza discreta ma impeccabile, molto milanese. Con De Sica invece, una piccola parte in Villa Borghese del 1953. Ricordiamo poi Il segno di Venere dove Valeri contribuisce alla sceneggiatura scrivendosi di mano propria il copione. Un altro mostro sacro con cui collaborerà sarà Totò (Totò a colori).
Sul piccolo schermo, Franca Valeri si afferma negli anni ’60 come personaggio di spicco del varietà televisivo all’italiana (Studio uno, Sabato sera, Le divine) dove Valeri si alterna a personaggi del calibro di Mina, Sordi, Bice Valori, Don Lurio, le Gemelle Kessler. Valeri si prende il palcoscenico e un po’ come a teatro, non ha bisogno di alcun supporto: le basta un telefono, il suo genio, il suo modo di usare le pause e la caratterizzazione: et voilà, il successo della “Sora Cecioni”, la popolana romana sempre al telefono con “mammà”, è garantito (ascolto). Prende poi parte a diversi sceneggiati televisivi negli anni ‘70 o alcune serie televisive e spot pubblicitari degli anni ’80-’90 rimanendo un’ospite molto richiesta per le maggiori trasmissioni televisive fino a qualche anno fa. Valeri ha poi prestato la sua penna per numerosi libri (Il diario della signorina snob; Tragedie da ridere; Bugiarda no, reticente; Donne e tanti altri).
Abbiamo accennato in apertura all’amore per l’opera, un’infatuazione che ha radici antiche e che è durata per tutta la sua vita, si può dire. Verdi, Puccini, Donizetti, Rossini e Bellini i compositori d’elezione. L’amore per l’opera, per una milanese, doveva per forza nascere al Teatro alla Scala. La prima volta fu all’età di soli sei anni per una produzione del Trovatore: a Franca viene dato accesso da un amico di famiglia (il poeta futurista Paolo Buzzi) a un palco di proscenio con vista sull’orchestra e sui cantanti che entrano in scena. È un amore a prima vista e dopo quella sera, Franca tornerà alla Scala ripetutamente, assistendo sia all’ultima apparizione scaligera di Arturo Toscanini prima della sua partenza per l’America, che al concerto di riapertura della Scala nel ’46, sempre con Toscanini. Sono anni fondamentali per la formazione musicale di Franca, che legge anche con interesse i libretti, quegli stessi libretti del cui valore letterario si farà poi paladina rispettosa nel curare regie operistiche e nel criticare alcuni stravolgimenti registici moderni, soprattutto di stampo germanico.
Negli anni ’50 Valeri riesce anche a stabilire un rapporto di amicizia e stima reciproca con Maria Callas. Si incontrano durante una vacanza a Ischia e successivamente Franca seguirà Maria nelle sue apparizioni scaligere principali (tra cui Fedora con Corelli e l’ultima Medea). I ricordi di Franca sulla Callas sono contenuti in un breve saggio firmato dalla Valeri “Indimenticabile Maria” contenuto in “Mille e una Callas” per Quodlibet Studio. Ai microfoni RAI la Valeri ha dichiarato qualche anno fa: “Con Maria bisognava tenere conto che lei era la Callas, però lei mi ripagava con molta stima”. Alla giornalista che le chiese cosa apprezzasse la Callas di lei, Valeri rispose: “l’umorismo”. Il mondo dell’opera, pur amato e riverito, non poteva comunque sottrarsi all’ironia pungente dell’attrice meneghina. L’esempio più celebre è lo sketch “La moglie del tenore”, anch’esso nato per la radio. Valeri coglie in modo irresistibile le apprensioni di una donna che alimenta le fobie e il divismo del marito, con un controllo maniacale che si estende alla scelta delle colleghe di palcoscenico, perché “sempre ste sempie che fan le tragiche intanto che lui canta su e giù per la scena…le ga rovinate tutte la Callas!” (ascolto a fondo pagina).
Musica e opera finiranno poi per costituire un nucleo familiare per Valeri. Dopo essere stata sposata con l’attore e regista Vittorio Caprioli dal 1960 fino al divorzio nel 1974, Franca Valeri si lega in seconde nozze con il direttore d’orchestra Maurizio Rinaldi, venuto a mancare nel 1995. Insieme al secondo marito, fonderà nel 1980 il concorso lirico dedicato al baritono Mattia Battistini. Circa duecento studenti passeranno da questo concorso e verranno non solo guidati fino al diploma ma anche coinvolti dalla Valeri in spettacoli operistici dove Rinaldi curerà la parte musicale mentre Valeri si occuperà della parte scenica e dell’interpretazione. Proprio in uno di questi concorsi, una giovanissima Stefania Bonfadelli farà talmente breccia nel cuore della Valeri da diventare poi sua figlia adottiva. Durante la sua interminabile carriera Valeri curerà anche diverse regie d’opera nel corso degli anni ’80 e primi ‘90 (La battaglia di Legnano, Rigoletto, Ernani, La forza del destino, La traviata) con Rinaldi alla direzione musicale. Si pensi per esempio alle stagioni estive Eurmuse che per qualche anno richiamarono migliaia di spettatori e molti artisti da diverse compagnie anche estere.
Una vera e propria chicca per tutti i melomani è poi la storica diretta del 1980 in occasione del centenario dell’Opera di Roma. Franca Valeri è chiamata a condurre da un palco, circondata da uno stuolo di grandi cantanti e interpreti che hanno legato il loro nome al teatro romano, tra cui Renata Tebaldi e Antonietta Stella. Con una punta di ironia, ma in fondo con tanto rispetto e ammirazione, Valeri riesce a mettere a loro agio le cantanti dando loro lo spazio che meritano, senza gli egocentrismi inutili di una conduzione invadente. Si evince poi da questo filmato come Valeri all’opera sia proprio nel suo habitat di appartenenza: gli occhi le brillano e il sorriso si fa ancora più smagliante, la conduzione molto partecipe (qui il video).
Si è detto di come il talento Valeri sia nato e sviluppato alla radio. Molteplici le trasmissioni radiofoniche dal 1949 al 2002, incluso due che sono particolarmente rilevanti dal punto di vista musicale. Negli anni ’70 Franca Valeri conduce la trasmissione radiofonica su Radio Due Classic Jockey, dove i brani di musica classica selezionati dall’amico Sandro Rinaldi venivano introdotti da degli sketch comici. Dal 1999 al 2003 Valeri ha condotto la trasmissione dedicata all’opera Di tanti palpiti di Radio Tre, introducendo brani operistici e commentando argutamente i retroscena dell’opera e le caratteristiche dei personaggi. Le citazioni sono puntuali, l’uso delle fonti pure e Franca cita spesso le stesse parole usate da Verdi per descrivere le intenzione esecutive o espressive. Alcuni brani tratti da queste due trasmissioni radiofoniche sono stati selezionati e raccolti in un libro per La Tartaruga edizioni curato da Patrizia Zappa Mulas e intitolato “Di tanti palpiti, Divertimenti musicali”. Nella prefazione al libro Mulas cita questo aneddoto: “Quando un allievo chiese ad Arturo Benedetti Michelangeli come avrebbe potuto esercitarsi allo studio della pausa, il grande musicista gli rispose di ascoltare con attenzione gli sketch di Franca Valeri”. Sempre nelle pagine introduttive al libro, la stessa Valeri a proposito del rapporto tra parole e musica: “Che cosa invidia la Parola alla Musica? La sintesi emotiva contro il suo ricorrere ai concetti. L’astrazione contro la sua ricerca di emozioni descritte. La musica evoca senza definire. È aria, fremito, forse è Dio. Lei è realtà inchiodata alle pagine, prosciolta da bocche umane nel migliore dei casi, un’emozione molto carnale – è la verità. Eppure la musica ha sempre teso una mano alla Parola, anche supplice. Lei ama le sue belle espressioni che le danno un nome – l’Andante con moto, la Marcia, la Fuga, la Romanza. O che le danno un titolo – la Patetica, l’Eroica, l’Incompiuta. Ama quelle sdrucciolate di vocali che le permettono il ritmo, quelle grandi storie che diventano canto”. Continua la Valeri: “Il gioco Parole e Musica, il loro aspro divertimento verbale si fa più serio per l’opera lirica. Lì è quasi un giocare alla pari. L’osservatore del loro intrallazzo deve assumersi una responsabilità critica.”
Valeri non ha smesso di girare per l’Italia portando i suoi spettacoli a teatro almeno fino al 2015. In un’ospitata d’onore a Sanremo nel 2014 ha dichiarato: “Per me la musica è l’opera”. Suona come un monito in un Paese che spesso si dimentica di aver dato i natali a questa forma d’arte che tutto il mondo ci invidia. Negli ultimi anni l’età avanzata e la malattia (un tremore ereditario, confuso dai più per Parkinson) l’hanno costretta a interrompere la sua attività teatrale. Tra le persone che le rimangono a fianco, oltre all’amatissima figlia, ricordiamo la scrittrice e cara amica Gina Guandalini. Numerosi i riconoscimenti tra lauree ad honorem, serate a tema, libri e presentazioni a lei dedicate. Per quanto possa valere, noi di Connessi all’Opera vogliamo rendere omaggio a questa grandissima artista poliedrica il cui sguardo appassionato ma al contempo ironico e caustico al mondo operistico, ci ha insegnato che in fondo l’opera è connessa profondamente alla vita di tutti noi e ognuno di noi può ritrovare spunti interessanti della vita di tutti i giorni, tra debolezze, miserie ma anche slanci ideali, sogni e virtù. Il rispetto per questo mondo però non è mai diventato fanatismo autoreferenziale o fazioso e in questo sta il grande pregio della Valeri: osservazione e critica arguta ma sempre rispettosa, nella comprensione dei fatti, senza mai prendersi troppo sul serio e dove la modernità non diviene mai volgarità o cattivo gusto. Un bell’insegnamento per chi, anche nel mondo dell’opera, pensa di avere sempre tutte le verità in tasca o pensa di innovare con la provocazione fine a se stessa, piuttosto che con l’intelligenza.