Trent’anni fa, il 16 luglio 1989, si spegneva a ottantun anni ad Anif, vicino a Salisburgo, Herbert von Karajan, tra i più grandi direttori d’orchestra del Novecento. Più di 1500 registrazioni in studio (audio e video) costituiscono il grande lascito artistico del maestro austriaco: un patrimonio immenso, realizzato con impegno forse superiore a quello profuso in ambito concertistico, che consente anche alle nuove generazioni di conoscere ampiamente l’arte del celebre direttore.
Karajan rimane colpito dalla figura leggendaria di Arturo Toscanini che vede dirigere a Salisburgo negli anni Trenta. Vuole fare sue quella perfezione d’assieme tra orchestra e palcoscenico e quella pulizia degli attacchi. Autorità e magnetismo non gli mancano: vi aggiunge una personalità “aristocratica” che si concretizza in un gesto elegante che disegna ampie curve melodiche, con le braccia quasi smaterializzate. E ancora: gli occhi chiusi per sentirsi in volo con la sua orchestra.
Suoi tratti peculiari sono il gusto estetizzante e decadente del suono, il culto del fraseggio legato, una ricerca di timbri morbidi e vellutati con dinamiche all’occorrenza estremizzate. Richard Strauss, dunque, soprattutto quello che segue la fase dell’accesa avanguardia, rimane l’autore al quale questa estetica più si addice. Pienezza e turgore delle sonorità, fraseggio teso e ampio si ritrovano nel suo Brahms e anche nel suo Beethoven. Una sorta di “maniera” tendenzialmente estesa a un repertorio alquanto vasto, ma che nella produzione tardoromantica e, in campo operistico (si pensi a Puccini) ha dato risultati mirabili. Per quanto riguarda Wagner, Karajan ha saputo resistere alle tentazioni titaniche per restituirci gli aspetti più lirici e umani. Due esempi per tutti: Tristano e Valchiria con il tenore Jon Vickers.
I cantanti che hanno lavorato con Karajan ricordano quasi in coro di essere stati affascinati dal carisma di un direttore che sapeva magicamente avvolgere la voce con l’orchestra, seguendola nell’arco melodico con flessibile duttilità. Tuttavia negli ultimi anni di attività si cimentò in discussi “esperimenti” vocali, utilizzando cantanti non sempre adeguati ai ruoli. Anche come regista non gli vennero risparmiate critiche, ma come ricorda Mirella Freni, tra le artiste predilette del direttore salisburghese, le sue intuizioni sceniche e i movimenti nascevano direttamente dall’intensità della musica e dal suono. Una visione oggi certamente inattuale.
Poco interessato alla politica, Karajan scende a patti col regime nazista per avere l’incarico di direttore musicale allo Stadttheater di Aquisgrana. Ma dopo aver sposato nel 1942, in seconde nozze, Anita Gütermann, di origini ebraiche, il legame del musicista con il partito si deteriora del tutto. A determinare la nascita del “mito Karajan”, direttore a vita della Filarmonica di Berlino, fondamentale il connubio fra tecnica e tecnologia: ogni aspetto della sua immagine viene curato con ossessività, dagli spostamenti pilotando l’areo privato alla passione per le auto veloci e per le regate di vela. Per due anni studente d’ingegneria a Vienna (1926-1928), Karajan fu sempre attratto dalle ultime novità in fatto di tecniche di riproduzione musicale, collaborando strettamente con gli esperti della sua casa discografica, la Deutsche Grammophon, all’edificazione del suo monumento sonoro.