Ho incontrato tante volte Claudio Scimone, fondatore nel 1959 dei Solisti Veneti, la celeberrima orchestra da camera italiana nota in tutto il mondo, che vanta una ventina di presenze al Festival di Salisburgo. Ogni volta Scimone mi colpiva per il suo garbo, la gentilezza e i modi cortesi propri di un’educazione rara e signorile. Al tempo stesso aveva una conversazione vivace, era intelligentemente curioso e sottile. Questo suo carattere si rifletteva naturalmente nel suo approccio alla musica, vissuta non solo come dimensione totalizzante, ma anche come momento di gioia assoluta.
Il suo gesto, ampio e aperto, direi “estroverso”, comunicava un entusiasmo e una passione sinceri. Sapeva essere ironico con la musica, qualità non comune e come pochi conosceva i “segreti” della musica veneta. Non gli servivano strumenti originali per rievocare il suono di Vivaldi, Albinoni o Galuppi. Sapeva benissimo che il colorismo lagunare richiede un’accordatura brillante perché così era al tempo della Serenissima. Il suono dei suoi Solisti Veneti dunque era più autentico di quello di tanti gruppi di specialisti nati dopo e comunque debitori di Scimone per la riscoperta della musica strumentale barocca. Nel 1970 aveva partecipato al Festivalbar, ottenendo un incredibile numero di voti e vincendo, naturalmente con Vivaldi, la speciale classifica dedicata alla musica classica.
Il maestro padovano, di famiglia siciliana, che il prossimo dicembre avrebbe compiuto 84 anni, ha dato un contributo rilevante anche alla rinascita dell’opera barocca: nel 1978 presentò a Verona, in occasione del trecentesimo della nascita di Vivaldi, Orlando furioso con un cast stellare che vedeva tra altri Marilyn Horne. Non si può dimenticare poi il suo apporto alla cosiddetta Rossini Renaissance. Citiamo almeno Mosè in Egitto, Ermione, Maometto II, con artisti come June Anderson, Chris Merritt, Samuel Ramey. Ma la voracità musicale portò Scimone a spaziare in un repertorio molto vasto, con incursioni anche nella produzione contemporanea, in particolare grazie a lavori scritti espressamente per il suo gruppo.
Tra i primi violinisti, quando era appena iniziata l’attività dei Solisti Veneti, ci fu anche Pino Donaggio. Negli ultimi anni il musicista veneziano si era riavvicinato ai Solisti prima per registrare musiche da film e poi per scrivere una composizione per archi, Rimembranza, puntualmente eseguita dall’amico Claudio in un programma che includeva anche pagine di Monteverdi. Scimone amava divertirsi e non disdegnava di confrontarsi e collaborare con artisti apparentemente lontani come Lucio Dalla o Giovanni Allevi. Così come sarebbe riduttivo pensarlo solo come direttore dei Solisti Veneti. Era stato invitato da grandi orchestre sinfoniche di tutto i mondo, da Londra a Parigi, dal Giappone agli Stati Uniti. Non aveva trascurato l’attività didattica: era stato docente a Venezia e direttore per quasi un trentennio del Conservatorio di Padova. Non gli importava più di tanto del giudizio degli altri: ogni occasione per far musica era per lui un evento irripetibile e da non sprecare.