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Georges Prêtre, il magico demiurgo

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Vi sono interpreti oggettivi, classicisti, e altri invece in cui prevale lo spirito dionisiaco. Il direttore d’orchestra Georges Prêtre, classe 1924, spentosi il 4 gennaio nella sua casa nel sud della Francia, apparteneva a questa seconda categoria. «Questo mestiere – sosteneva – non s’impara. È un dono che ti viene fatto. Bisogna avere la capacità di andare oltre la partitura per cogliere quello che sta dietro. Quando salgo sul palco mi metto direttamente in contatto con lo spirito dell’autore che interpreto». Prêtre non era dunque un “tecnico” della direzione d’orchestra, ma una sorta di magico demiurgo, dotato di grande musicalità intuitiva, che con estro e fantasia privilegiava i particolari alla struttura formale, il momento esecutivo alle prove, facendo volare sull’Elicona non solo il pubblico ma anche gli orchestrali che volentieri gli perdonavano, come già a Furtwängler, gli attacchi non sempre facili.

Figlio di un calzolaio della Piccardia, la musica lo seduce all’età di sette anni, grazie alla radio. Vorrebbe studiare l’oboe, ma gli comprano una tromba, che costa meno. È la sua salvezza. Durante la guerra, per sopravvivere, suona jazz al Bobino, a Montparnasse, in vari cabaret e finanche con l’orchestra di Glenn Miller. Pur frequentando il conservatorio, non si diploma mai. L’incontro con Jean Marny cambia il suo destino. Direttore dell’opera di Marsiglia, Marny nel 1946 lo fa debuttare e contestualmente gli presenta la figlia Gina, che sposa e alla quale rimane legato per tutta la vita. Per un periodo, dirige nei piccoli teatri spettacoli d’operetta, utilizzando prudentemente il cognome della madre, Dherain.
Nel 1956 esordisce all’Opéra-Comique di Parigi in Capriccio di Richard Strauss e vi dirigerà fino al 1963. La sua carriera diviene sempre più internazionale con debutti negli Stati Uniti, a Londra, Salisburgo e Vienna. Sua è la prima esecuzione assoluta de La voix humaine di Poulenc, a Parigi nel 1959. Nel 1966 inizia un ininterrotto legame con il Teatro alla Scala: un’opera all’anno per un lungo periodo. Da Faust alla Walkiria, da Pelléas et Mélisande a Les Troyens. Tanto Puccini, ma mai Verdi. «Verdi alla Scala è solo per i direttori italiani», afferma. L’ultimo concerto con la Filarmonica è del febbraio 2016 e il prossimo marzo sarebbe dovuto ritornare ancora sul podio milanese. Il pubblico televisivo lo ricorda per i suoi concerti di capodanno: nel 2005 e nel 2009 dal Teatro La Fenice di Venezia e nel 2008 e nel 2010 da Vienna (proverbiale il suo rubato nei valzer).

Uomo della campagna, con un passato avventuroso e la passione per la boxe (il naso era da pugile), Prêtre coniugava un’apparente ingenuità fanciullesca a una vitalità fisica che l’accompagnò per quasi tutta la vita. Non incarnava la tradizionale figura dell’artista francese: era semmai una sorta di Jean Gabin della musica, senza mondanità e affettazioni. Collaborò con i più grandi artisti del suo tempo ma serbò sempre un ricordo privilegiato di Maria Callas. Con la grande cantante, lavorò negli anni in cui i mezzi vocali dell’insuperabile interprete si stavano assottigliando. Eppure la Carmen incisa nel 1964 ci appare ancor oggi moderna e attuale, con una protagonista che scava nel suo personaggio con inedita forza tragica e Prêtre che la asseconda e la sostiene con scabre e vibratili sonorità in chiaroscuro.

Photo credit: EPA/Georg Hochmuth

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