Esordio bagnato per La traviata, terzo appuntamento del Festival areniano 2016. Tormentata dalla pioggia, la recita è stata interrotta due volte e poi sospesa definitivamente alla fine del secondo atto. Trattandosi di una ripresa, quanto si è visto e sentito è comunque più che sufficiente per formulare una valutazione dello spettacolo.
L’allestimento è quello firmato da Hugo de Ana nel 2011: un convergere di sguardi incrociati tra teatro, letteratura e pittura. Il palcoscenico, delimitato sul fondo da una grande vetrata, è cosparso da enormi cornici dorate (una collocata al centro, le altre appoggiate sui gradoni), accatastate alla rinfusa come in un museo abbandonato. Un palazzo della memoria dove, in apertura d’opera, ritagli di giornali e manifesti sparsi sul pavimento rimandano alla morte di Marie Duplessis. Figurano anche frammenti che riproducono la Margherita Gauthier di Eugenio Scomparini, un dipinto esposto al Museo Revoltella di Trieste e datato 1890.
La vicenda viene collocata da de Ana proprio verso la fine dell’Ottocento e concepita attraverso una successione di quadri: le cornici vuote si fanno garanti del fatto che in quelle superfici delimitate si è consumata una grande storia di amore e morte, della quale non resta che il ricordo.
Passando da una stanza all’altra di questa immaginaria e funerea pinacoteca, vediamo via via materializzarsi la tragica parabola di Violetta, schiacciata da una società borghese che fonda il proprio potere sulla repressione degli istinti, sulla rinuncia alla felicità privata e all’amore vero.
L’idea di fondo è senz’altro forte, tuttavia non viene sviluppata registicamente con la coerenza e il rigore auspicabili. De Ana, per quanto in modo più attenuato rispetto alla prima edizione, insiste sulla componente della violenza, anche fisica, che intercorre nei rapporti tra i personaggi. Per esempio, dopo l’affronto a Violetta in casa di Flora, Alfredo viene malmenato brutalmente dai convitati mascherati da toreri.
L’intenzione è di raffigurare un mondo borghese in decadenza, popolato da persone ciniche e spietate che stentano a dominarsi. All’atto pratico, assistiamo a una serie di trovate di stampo verista, decisamente sopra le righe. Si sente la mancanza di una reale introspezione dei caratteri e delle psicologie. In quest’opera, poi, la violenza può essere solo verbale e psicologica. Nella scena della borsa, i presenti si stupiscono che Alfredo infranga in modo così grossolano le regole delle buone maniere, subito ribadite da Germont padre secondo un rigido codice morale. Va da sé che in un ambiente storico-culturale come quello ottocentesco, che arriva a incanalare l’aggressività in una istituzione rituale come il duello, la violenza fisica è fuori luogo e, a livello rappresentativo, dovrebbe essere rimossa.
Non persuade, inoltre, il livello della recitazione e, in particolare, il ritratto di una Violetta fondamentalmente verista, enfatica, non esente da qualche tocco volgare. Vederla cantare “Sempre libera” in guêpière, avvinghiata a una cornice che si solleva a vista fino a qualche metro di altezza, non è elegante né spettacolare.
Relativamente più riusciti ma sempre in odore di Kitsch altri colpi di teatro, come lo scoppio di lustrini dorati dopo le danze del secondo atto. Non convincono invece le coreografie disordinate di Leda Lojodice, né certe affollate scene di massa. Alla “prima” il temporale non ha consentito di assistere al terzo atto, che a suo tempo mi aveva lasciato perplesso per l’horror vacui di una scena molto bohémien dove Violetta, tanto per gradire, agonizzava in un baule dei ricordi simil Vuitton.
A proposito di cornici, quella orchestrale non risulta del tutto a fuoco. Jader Bignamini, un direttore apprezzato più volte in altre occasioni, qui non arriva a dare rilievo drammatico e smalto al fraseggio verdiano. Lascia la sensazione di una lettura poco incline all’emotività e alle espansioni lirico-sentimentali. Anche la concitazione che circola nelle scene di festa e la “sublime nevrastenia” che circonda Violetta, lacerata fra ansia di godimento e rinuncia, rimangono nel limbo delle intenzioni. Mancano la pulsione ritmica, il senso della tensione narrativa e della concitazione drammatica. Si aggiunga che il rapporto con il palcoscenico non è sempre ottimale: quest’anno, a quanto pare, l’Arena si sta dimostrando insidiosa per i direttori che vi debuttano.
Non brilla nemmeno il cast. Nino Machaidze è una Violetta che scurisce artificiosamente i suoni in zona medio-grave ed emette acuti asprigni e schiacciati (elimina il mi bemolle di tradizione che chiude “Sempre libera”). Se nelle agilità del primo atto è poco fluida, quando si tratta di restituire la dimensione lirica e drammatica del personaggio esibisce un fraseggio pesante e un accento poco vario.
Al suo fianco troviamo Francesco Demuro. Per quanto la vocalità chiara e leggera non collimi con quella del tenore verdiano più tipico, si tratta di un Alfredo credibile per la gradevolezza timbrica, l’immedesimazione espressiva e il tratteggio scenico. Purtroppo l’equilibrio dell’emissione e della linea di canto è spesso intaccato da singulti, incertezze e forzature.
Gabriele Viviani è invece un papà Germont corposo nella vocalità (con qualche opacità e stimbratura negli acuti), ma uniforme e monocorde sul piano espressivo. Certo l’impostazione registica di de Ana, che trasforma il personaggio in un figuro rozzo e incapace di insinuante dialettica, non lo aiuta. Tuttavia un fraseggio più sfumato e stilizzato non guasterebbe.
I comprimari fanno il loro dovere: ricordo in particolare la Flora di Clarissa Leonardi, il Gastone di Paolo Antognetti e il Barone Douphol di Alessio Verna.
Considerata la tensione che si percepiva alla “prima”, dovuta all’instabilità del tempo ma anche alla disattenzione e alle intemperanze di una parte del pubblico intento a seguire sugli smartphone i risultati della partita Italia-Germania, non è escluso che il livello esecutivo possa migliorare nel corso delle repliche.
Arena di Verona – Festival 2016
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti. Libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry Nino Machaidze
Flora Bervoix Clarissa Leonardi
Annina Madina Karbeli
Alfredo Germont Francesco Demuro
Giorgio Germont Gabriele Viviani
Gastone di Letorières Paolo Antognetti
Barone Douphol Alessio Verna
Marchese d’Obigny Romano Dal Zovo
Dottor Grenvil Paolo Battaglia
Giuseppe Cristiano Olivieri
Domestico/Commissionario Victor Garcia Sierra
Orchestra, Coro, Corpo di ballo e Tecnici dell’Arena di Verona
Direttore Jader Bignamini
Maestro del coro Vito Lombardi
Regia, scene, costumi e luci Hugo de Ana
Coreografia Leda Lojodice
Coordinatore del Corpo di ballo Gaetano Petrosino
Direttore allestimenti scenici Giuseppe De Filippi Venezia
Verona, 2 luglio 2016