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Verona, Arena Opera Festival 2016 – Carmen

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In Carmen trovano posto due diversi mondi teatrali. La tragicità del dramma di amore a morte convive infatti con il tono leggero e operettistico che percorre buona parte della partitura. Inoltre, agli accesi cromatismi della raffigurazione ambientale spagnola si oppongono la levità e l’eleganza di una tavolozza tutta francese di mezzi toni e sfumature. Questo ha fatto del capolavoro di Georges Bizet un’opera enigmatica consentendo, a livello interpretativo, molteplici e spesso contrastanti modi di accesso.
Enigmatica è del resto la stessa protagonista, vista ora come una pericolosa femme fatale, ora come un’ammirevole donna indipendente: due stereotipi contrapposti che nel tempo hanno reso possibile l’interesse ininterrotto del pubblico, di esegeti e interpreti. La forza di questo personaggio consiste infatti non tanto nella sua capacità di ispirare consenso, quanto piuttosto nel riuscire a provocare e a tenere viva la discussione lungo le linee portanti della cultura del XIX e XX secolo fino ai nostri giorni. In altre parole, Carmen è vittima o carnefice nelle sue molteplici letture a seconda dei periodi e dei diversi contesti culturali.
Non stupisce che l’opera sia divenuta un punto di riferimento per nuove identificazioni e interpretazioni, e che negli ultimi anni la sua protagonista sia stata raffigurata rivalutando un aspetto particolare: quello della donna giovane, seducente, emancipata e consapevole di se stessa. Oggi, poi, per chi segue i dettami del politicamente corretto è quasi impossibile considerarne una riproposta teatrale senza guardarla attraverso le lenti di tematiche contemporanee quali la violenza sulle donne, il femminicidio, o l’alterità etnica e razziale.

Va da sé che nei diversi allestimenti realizzati da Franco Zeffirelli nel corso della sua gloriosa carriera, Carmen è stata ricondotta puntualmente all’altra faccia dello stereotipo: quello della zingara fatale ancheggiante e rapace, più aggressiva e minacciosa che sensuale (ma qui, ovviamene, entrano in gioco pure le peculiarità timbriche e le capacità attoriali delle interpreti).
Anche nel celebre spettacolo concepito nel 1995 per l’Arena di Verona, rivisto e ripulito più volte nell’ultimo ventennio, e ora riproposto per l’apertura del festival 2016, la raffigurazione della gitana mette in luce, per dirla con Mario Praz, “il diabolico fascino della donna”, la vamp proibita e seduttrice in grado di far perdere agli uomini ogni controllo e ogni forma di dignità sociale.
Una visione vecchio stile del personaggio che all’epoca del debutto, tuttavia, risultava più variegata grazie alla presenza di un’interprete ferina e spontanea come Denyce Graves, capace di un canto sfumato ma anche di suonare le nacchere, di muoversi e ballare con sensualità. Nelle successive riprese si è assistito invece a una parata di Carmen dotate di minor carisma scenico, ora volitive e aggressive, ora matronali, ora virago e un po’ megere (nelle ultime edizioni la presenza più valida e credibile è stata quella di Anita Rachvelishvili).
Quest’idea ottocentesca dell’eroina di Bizet si accompagnava, nell’allestimento del 1995, a una concezione scenografica tradizionale, dove prevaleva il gusto della scena dipinta e del tutto pieno: Zeffirelli in pratica stipava tutta la superficie disponibile, ricostruendo metro per metro una Siviglia colorata e pittoresca, ma anche prospettive di montagne adagiate in “cinemascope” sulle gradinate. Una versione spettacolare, contrassegnata da un realismo bozzettistico curato nei minimi dettagli. L’esito era un tripudio di cromie roventi e notazioni folcloristiche: uno spettacolo senz’altro godibile nel suo genere, apprezzabile per la scioltezza dei vorticosi movimenti di massa e la concentrazione drammatica nella recitazione dei protagonisti.
Al 2009 risale invece l’intervento scenografico piuttosto drastico dal quale è nata la versione che viene riproposta (fino al 27 agosto) nel corso dell’attuale stagione areniana. Quasi in preda a una voglia tardiva di minimalismo, Zeffirelli ha pensato bene di spazzare via dalle gradinate tutte le casupole e le costruzioni a dimensione reale per lasciare posto a giochi di luci e proiezioni.
Il palcoscenico è delimitato da una serie di alti pali che nel secondo e nel quarto atto sorreggono dei manifesti d’epoca con raffigurazioni di toreri e carmencite. Nel terzo atto – avvolto da un alone lunare, vagamente spettrale – i velari dipinti ritraggono invece profili di montagne
Se l’effetto è meno oleografico rispetto alla precedente messinscena, la voglia di spettacolarità è sempre garantita dall’utilizzo delle grandi masse, dai costumi sgargianti di Anna Anni e dalle coreografie in salsa flamenca di El Camborio riprese da Lucia Real.
Resta il fatto che in questa ennesima ripresa l’allestimento risulta in gran parte privo dell’incisività e dello smalto originari. Vengono meno la cura dei particolari, la scioltezza e l’energia dei movimenti di massa, la cura della recitazione. Tutto sembra un po’ sfocato e la routine la fa ormai da padrona. Più che un nuovo lifting, urge il pensionamento.

Ad aumentare la sensazione di grigiore e routine contribuisce anche il livello del versante musicale. Al suo debutto areniano, Xu Zhong – che è direttore principale dell’Orchestra della Fondazione Arena, nonché direttore generale della Shanghai Opera House – non dimostra grande dimestichezza con gli spazi dell’anfiteatro: emergono problemi di coesione con il palcoscenico, sia con i cantanti (in particolare con l’interprete di Escamillo) sia soprattutto con il coro.
Il direttore cinese denota anche una concezione interpretativa generica e poco approfondita: le parti d’ambiente mancano di eleganza a brillantezza e non sempre quelle in cui si consumano i destini dei personaggi hanno la giusta atmosfera drammatica. Il suono può essere vigoroso, intenso, ma i timbri non sono mai veramente solari, così che i momenti di maggiore festosità e policromia orchestrale si risolvono in enfasi generica. Oltre ai climi roventi, latitano anche il vitalismo sensuale e la suggestione di certi momenti lirici.

Protagonista nelle prime recite di questa edizione è Luciana D’Intino, che come Carmen non ha mai avuto dalla sua il physique du rôle né la sensualità insinuante. Oggi, poi, la voce, pur conservando sprazzi timbrici apprezzabili, denota disagi nelle emissioni in zona di passaggio, suoni aperti in basso e qualche forzatura in alto. Naturalmente, si tratta pur sempre di una seria professionista, capace di compensare le attuali disomogeneità dell’emissione con il fraseggio incisivo e una tensione espressiva apprezzabile, per quanto a tratti di impronta verista.
Jorge De León delinea un Don José con una voce oscillante, timbricamente tutt’altro che sopraffina, forzata in acuto. Il ventaglio dei colori e delle modulazioni è ridotto, il fraseggio generico. Qualche buona intenzione nell’aria del secondo atto e un certo vigore nelle frasi declamatorie e drammatiche non bastano a renderlo convincente.
Non brilla nemmeno l’Escamillo di Dalibor Jenis, voce dagli acuti facili, ma poco consistente nelle note più gravi: il tratteggio complessivo, anche dal punto di scenico, risulta un po’ opaco.
La più credibile, nel delineare il proprio personaggio, è Ekaterina Bakanova, che ricordavo nella Carmen allestita da Bieito come una Micaela volitiva e sensuale e che qui – ligia alla regia di Zeffirelli – si trasforma diligentemente nella consueta santerellina appena uscita da una sacrestia. Il timbro piacevole, l’emissione per lo più corretta e la linea di canto accurata sono senz’altro funzionali al lirismo del personaggio.
Passabili la Mercedes di Clarissa Leonardi e la Frasquita (un po’ stridula negli acuti) di Madina Karbeli. Tra i restanti comprimari, segnalo Marcello Rosiello nei panni di Morales e Paolo Antognetti (Remendado). Completano la locandina Gianluca Breda (Zuniga) e Gianfranco Montresor (Dancairo).
Tirando le somme, una produzione un po’ troppo sottotono per una inaugurazione e che, di fatto, non fa altro che riflettere il difficile momento di transizione che la Fondazione Arena sta attraversando. Il pubblico ha comunque accolto tutti con grande calore, acclamando in particolare la Bakanova.

 

Arena di Verona – Festival 2016
CARMEN
Opéra-comique in quattro atti. Libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy
dalla novella omonima di Prosper Mérimée
Musica di Georges Bizet

Carmen Luciana D’Intino
Micaela Ekaterina Bakanova
Frasquita Madina Karbeli
Mercedes Clarissa Leonardi
Don José Jorge De León
Escamillo Dalibor Jenis
Dancairo Gianfranco Montresor
Remendado Paolo Antognetti
Zuniga Gianluca Breda
Morales Marcello Rosiello
Primi ballerini Alessia Gelmetti, Teresa Strisciulli,
Amaya Ugarteche
Evghenij Kurtsev, Antonio Russo

Orchestra, Coro, Corpo di ballo e Tecnici dell’Arena di Verona
Coro di Voci bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani
Direttore Xu Zhong
Maestro del coro Vito Lombardi
Regia e scene Franco Zeffirelli
Costumi Anna Anni
Coreografia El Camborio ripresa da Lucia Real
Coordinatore del Corpo di ballo Gaetano Petrosino
Direttore allestimenti scenici Giuseppe De Filippi Venezia
Verona, 24 giugno 2016

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